Ci sono due esami.
Uno è quello per cui ti iscrivi, e studi per avere un bel voto. Puoi passarlo, o anche non passarlo, e la cosa non ti interessa personalmente, se non per gli effetti che quel numero può avere. L’altro è quello che ti fai tu, che guardi a cosa hai ottenuto, raggiunto, voluto. A volte, sì, coincide con quello “accademico”; ma spesso non dipende dal numero, e anzi spesso ci sono esami senza voto, senza registro, senza libretto.
Siamo sempre sotto esame, non fosse altro perché ci muoviamo tra altri, e non da soli. Ma, non credete, l’esame non ce lo fanno gli altri. Meglio, non è quello che ci fanno gli altri ad interessarci; ne vedi magari gli effetti, ma non è nulla di tuo. La bocciatura è sempre nostra, siamo sempre noi a scrivere con matita rossa sul nostro cuore un “Respinto”. Conosco ragazzi che non hanno mai avuto fortuna con la scuola, né con gli studi; l’esame primo sarà pure fallito. Ma il loro esame, la loro promozione, c’era, e la forza viene da quella, non dal giudizio altrui.
Oggi non ho passato l’ennesimo esame. E non quello del giudizio, che potrebbe anche essere maggiore di 20; bensì il mio, ennesimo, processo sommario. Si sa, quando in un tribunale il giudice è anche imputato non può venire nulla di buono. Di solito, è assoluzione certa; per me, la condanna è l’obiettivo.
Ho affrontato la prima parte dello scritto, ho scoperto di avere fatto errori, e sono fuggito. Non ho avuto coraggio. In autobus, stavo per scoppiare in lacrime, quelle lacrime che lasciano solo il sale; e dove c’è il sale, l’erba non crescerà.
Quando capirò?
«Mi sento solo in mezzo alla gente,
osservo tutto ma non tocco niente,
mi sento strano e poco importante
quasi fossi trasparente,
e poi…
Resto fermo e non muovo niente,
la sabbia scende molto lentamente
l’acqua è chiara e si vede il fondo,
limpido finalmente…»
E. Finardi, “Le ragazze di Osaka”
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